Anche In/Arch Lombardia esprime alla città di Genova il proprio profondo compiacimento per l’ormai prossima ultimazione del nuovo Viadotto sul Polcevera, che porrà termine a una strozzatura del sistema della mobilità e che molti disagi ha creato alla cittadinanza tutta; ultimazione dell’opera che ci pone oggettivamente di fronte ad un evento positivo accaduto e a meno di due anni da una disgrazia che ha stravolto la vita delle famiglie delle vittime, ha segnato la Città di Genova e ha compromesso tutto il sistema infrastrutturale della Liguria e dell’Italia.
Un viadotto ricostruito in un anno – dopo un concorso con diverse soluzioni tecnologiche ed architettoniche e un concorso per la riqualificazione delle aree sottostanti il Viadotto – sono fatti che non ci saremmo mai immaginati come possibili.
Oggi, nel contesto dell’emergenza sanitaria che ha coinvolto il Paese e in un momento in cui si è avviato un dibattito su come farlo ripartire, sarebbe inopportuno non cogliere favorevolmente, al di là delle diverse opinioni, che è possibile realizzare grandi opere e rispondere ai bisogni del Paese, anche attraverso forme concorsuali e seguendo le giuste regole, con tempi certi e rapidi e soprattutto considerando tutti i fattori– sostenibilità / valore paesistico / qualità del progetto / risposta ai bisogni reali delle persone e, non da ultimo, il tempo – con sano equilibrio.
L’illusione che miriadi di regole, norme, controlli e cavilli burocratici potessero garantire il Fare e soprattutto il “Fare bene” si è rivelata, utile solo a “non agire” e “non innovare” il Paese.
Troppo spesso infatti il “meglio” si è rivelato nemico del bene comune.
Paradossalmente sono proprio le eccessive norme e regole, spesso evocate come garanzia del fare che hanno generato lo stallo in cui l’architettura, le infrastrutture e le città sono rimaste ingabbiate. È oggettivo, occorre una riflessione seria e leale, comprendendo ad esempio come procedure eccezionali possano diventare sempre più ordinarie e come tutti i fattori e le competenze, che contribuiscono ad una corretta trasformazione del territorio, possano realmente innovare e farci crescere con l’attenzione al bene comune.
In/Arch ha sempre fatto del bene comune il fulcro di un dibattito interdisciplinare che mettesse l’architettura al fianco di tutte le competenze che arricchiscono una società evoluta. Il caso del nuovo Viadotto sul Polcevera ha reso immediatamente concreto e comprensibile da tutti come il parlare di una infrastruttura a beneficio di una città sia materia tecnica ma al tempo stesso umanistica, economica e politica assieme, e che per esistere ha bisogno del lavoro concorde di tutte le discipline, nessuna esclusa e nessuna in predominio sull’altra. L’architettura fatta bene è proprio questo.
Dalla conversazione tra Renzo Piano e Pierluigi Nicolin – Lotus #171 in corso di pubblicazione – Courtesy Editoriale Lotus
“Il risultato è quello di un grande vascello attraverso la valle: è una nave. Vedrai che i bambini lo chiameranno la nave. E poi ci si passa sotto, è un ponte urbano, non è un ponte su una valle selvaggia. Tutto nasce da un fatto emotivo che per me è stato molto forte: quel 14 agosto quando ho sentito che era crollato un ponte a Genova mi è venuto un accidente perché ho pensato subito al ponte Morandi. Il giorno dopo mi chiamò il Sindaco e mi disse di voler fare una cosa che si potesse fare molto rapidamente. Io non feci altro che prendere una carta e camminarci sopra con le dita: ogni passo erano 50 metri ed era perfettamente possibile tranne in due punti, cioè quando si passa sul Polcevera e un po’ più in là perché c’è il parco ferroviario. È nato così: la cosa più semplice da fare.
Nacque subito l’idea di fare il ponte con due procedimenti come avevo fatto in altri casi. Chiamai subito una grande equipe di muratori, gente che fa logistica, scava le fondazioni, fa le pile in cemento e altri carpentieri navali perché sono quelli più rapidi e perché l’Italia è piena di cantieri navali sull’acqua, da Genova fino a Castellamare di Stabia………. Il risultato è che dimezzi i tempi, se poi lavori 24 ore al giorno in 3 turni nasce il miracolo.
Poi c’è un argomento che sfugge a queste valutazioni e che è di tipo più poetico: quando il sole alle 4 o alle 5 del pomeriggio incomincia ad accarezzare una scocca di nave a 50 metri di altezza viene fuori una cosa che non ha più a che fare con la praticità, bensì con la presenza dell’aria. Giorgio Caproni, un poeta genovese, dice: “Genova di ferro e di aria”. Questa cosa mi ha sempre colpito perché Genova è una città d’acciaio ma anche di vento: è forgiata dal vento.”